Resinego, indagine archeologica
E dal sottosuolo spunta l’ennesima sorpresa
RESINEGO. Lo scavo scientifico eseguito a San Vito nei primi giorni di questo mese di maggio è partito grazie alla segnalazione alla Soprintendenza archeologica del Veneto dell’ispettore onorario Daniele Lucia “Petito”.
Esso è localizzato in località Resinego (un toponimo venetico-cadorino, come afferma Giovan Battista Pellegrini nel volume “Ricerche di toponomastica veneta”). L’area interessata è quella posta a nord dell’antico edificio denominato “Ciasa dei Foure”.
Il toponimo ladino “Foure” rispecchia pienamente quanto emerso nel corso dell’indagine eseguita dall’operatore Davide Pacitti. Difatti, asportati gli strati agrari recenti, è emerso un deposito contenente una gran quantità di scorie, frutto della lavorazione del ferro, resti di pasto costituiti da ossi animali e numerosi frammenti di ceramica che consentono di datare questa fase tra il XVI e il XVII secolo. L’ambito in questione, situato all’esterno della casa-officina, era evidentemente inutilizzato come “immondezzaio” ed era stato sistemato con lastre e ciottoli in modo da formare un piano di calpestio. Le attente e puntuali analisi stratigrafiche hanno consentito di comprendere come il deposito antropico ricoprisse i resti di un edificio precedente caratterizzato dalla pianta rettangolare con dimensioni interne pari a m 5×6,70 e delimitato da murature realizzate con pietre locali legate con malta. E’ stato possibile comprendere, tra l’altro, come la struttura sia stata costruita con uno scasso di notevoli proporzioni effettuato sul pendio naturale risultando, quindi, parzialmente interrata secondo una modalità comune nel mondo antico in tutto l’arco alpino.
I resti murari erano conservati per l’altezza di circa 50 centimetri con un pavimento in terra battuta, che si è potuto indagare soltanto in minima parte. Ciò è bastato per rilevare la presenza di carboni, frammenti di rame e di ferro e, come per lo strato superiore, scorie ferrose. Di qui l’ipotesi che anche questi resti di fabbricato, discretamente conservato, fosse destinato ad ospitare la lavorazione dei metalli. Ci si troverebbe, pertanto, di fronte ad un’attestazione della continuità della destinazione d’uso di questa zona che si è protratta per lungo tempo. Purtuttavia la ridotta entità dell’indagine, che è stata svolta in sei giorni, lascia aperti importanti interrogativi legati soprattutto alla datazione del contesto e alla qualità dell’attività artigianale che in essa si svolgeva. L’area è quindi di grande interesse storico-archeologico e l’eventuale prosecuzione degli scavi consentirebbe di tracciare alcuni punti importanti per lo studio del passato non solo per il comune di San Vito ma, più in generale, per la Valle del Boite. Le attività metallurgiche sono forse connesse allo sfruttamento dei bacini minerari situati nelle zone circostanti la cui coltivazione, accertata per le epoche più recenti, ha probabilmente origini molto lontane nel tempo. Se le fonti scritte ci riferiscono le attività risalenti al medioevo recente, la ricostruzione degli aspetti socio-economici che hanno portato al popolamento stabile del Cadore fin da epoche molto antiche, è affidata a quanto si potrà rintracciare col lento lavoro dell’indagine archeologica. […]
Eugenio Padovan
il Corriere delle Alpi — 14 maggio 2006 pagina 29 sezione: PROVINCIA